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Massimo Giletti, al Festival della tv di Dogliani, è tornato a parlare dell’addio a La7. Una separazione densa di misteri e punti oscuri ancora da chiarire. Il problema è che ci sono di mezzo anche delle indagini giudiziarie e quindi non tutto si può dire. Quel che è certo è che per il giornalista torinese, quella vicenda, è stata uno spartiacque della sua carriera. Inoltre è stato parecchio segnato per come si è concluso il suo percorso nell’emittente di proprietà di Urbano Cairo.

Giletti e il traumatico divorzio da La7

“Un litro o due di Dogliani superiore potrebbero portarmi a parlare di quello che ho vissuto”. Così Giletti al festival della tv. In realtà, scioltosi un poco, poi ha raccontato dei dettagli in più sull’addio a La7. “Non è stato un divorzio, ma qualcosa di peggio”, ha scandito, facendo subito intendere di aver accusato il colpo dell’intera vicenda venutasi a creare.

In un divorzio le colpe si dimezzano, sai il perché avviene. Qui non lo so, posso solo supporre perché. Ho fatto la scelta di non parlare e il silenzio mi è costato molto. Lo faranno i magistrati al momento giusto”, ha aggiunto, ricordando che ci sono in corso delle indagini. E pure alquanto delicate visto che si parla di questioni in cui mafia e politica si intrecciano.

Stimolato dalle domande di Alessandra Comazzi, il conduttore ha dichiarato che “quando uno ti manda una mail dopo sei anni di rapporto stretto e grande successo, una mail in cui dice che rimani a disposizione ma il tuo programma è sospeso senza spiegartelo, è peggio di un divorzio”. Naturalmente quel qualcuno a cui fa riferimento Giletti altri non è che Urbano Cairo.

E ancora: “Io penso che in questo sistema chi fa inchieste dà molto fastidio. C’è chi è tutelato, chi è interno a un gruppo di lavoro, io sono un cane sciolto, sono sempre stato così. Evidentemente le cose che stavo per toccare era meglio che non fossero taccate. Questa è la mia sensazione, hanno pagato soprattutto i miei ragazzi, un gruppo di trenta persone, che hanno perso il posto”.

Non è l’Arena chiuso “per quello che stavo facendo in quei mesi”

“Mi hanno chiuso – ha spiegato sempre il Giletti – per quello che stavo facendo in quei mesi. Ricordo solo con tragica soddisfazione che Marcello Dell’Utri in una intercettazione chiama il capoufficio legale di Mediaset e dice: ‘Giletti va chiuso’. Quella intercettazione è agli atti di un processo. Se un pezzo grosso come Dell’Utri chiede la chiusura un motivo ci sarà”.

Il resto sono parole al vento. Cairo mi ha dato un grandissima libertà per due miliardi di puntate, alla duemiliardesima e uno non me l’ha più data. È un editore, può fare quello che vuole, un giorno magari a quattr’occhi da uomo a uomo mi dirà perché. Invece di mandare una mail mi piacerebbe mi dicesse la verità”, ha concluso l’ex conduttore di Non è l’Arena.

Cairo non ha mai affrontato pubblicamente nel dettaglio il tema relativo alla sua stessa decisione di chiudere il programma. Si è limitato a dire che il talk non rendeva più dal punto di vista pubblicitario. Tale versione, però, è alquanto controversa. Perché è vero che Non è l’Arena durante l’ultima sua stagione non ha brillato sul fronte share, ma è altrettanto vero che quasi mai si è visto chiudere una trasmissione a stagione quasi conclusa.

E, si badi bene, nelle ultime puntate il programma non ha avuto un tracollo rispetto a quelle precedenti. Insomma, il sospetto, che è quello che ovviamente nutre anche Giletti, è che gli ascolti c’entrino poco. Sembra invece che c’entrino assai di più le inchieste che stava conducendo Non è l’Arena.

Massimo Giletti torna in Rai: contratto biennale

Nella prossima stagione tv, Giletti tornerà a lavorare in Rai. Lo ha annunciato nelle scorse ore la stessa dirigenza di Viale Mazzini che ha reso noto che al conduttore è stato fatto un contratto biennale. Ora c’è da capire a quali progetti si dedicherà.

Mirko Vitali

Nato in una città del Nord, un paio di lauree umanistiche e un master in critica dello spettacolo. Si diletta a scrivere di televisione e dell'infernale mondo del gossip del Bel Paese (è convinto che qualcuno dovrà pur farlo questo ingrato mestiere di spifferare i fattacci altrui).

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