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Chiara Ferragni, con i suoi legali, come annunciato di recente, ha deciso di impugnare il provvedimento dell’Antitrust, ossia di far ricorso al Tar per la sanzione inflitta alle sue due società (Tbs Crew e Fenice Srl) di oltre un milione di euro. Anche Balocco sta tentando la via del ricorso. A riferire i dettagli della strategia degli avvocati dell’influencer è il Messaggero. Da quanto fatto trapelare dal quotidiano romano, il team legale della moglie di Fedez starebbe provando a difendersi strenuamente. Alcuni passaggi del ricorso, lungo 34 pagine, appaiono alquanto controversi, a tratti surreali.

La multa da oltre un milione di euro viene definita dagli avvocati della Ferragni una misura “del tutto sproporzionata rispetto alla gravità e alla durata della condotta. In nessun caso è stato rappresentato che l’acquirente avrebbe partecipato alla donazione con il suo acquisto e che la differenza di prezzo tra l’edizione limitata del pandoro “Pink Christmas” e il pandoro tradizionale Balocco sarebbe stata destinata a tale iniziativa benefica”.

Il flop dell’operazione “Pink Christmas”

Per chi non lo sapesse o non lo ricordasse, la Ferragni non ha fatto alcuna donazione all’ospedale infantile Regina Margherita di Torino. I 50 mila euro sono infatti stati elargiti soltanto da Balocco e ancor prima della messa in vendita dei pandori griffati Ferragni, commercializzati nella stagione invernale 2022-2023.

A proposito dei 50 mila euro donati da Balocco, i legali della Ferragni affermano che tale decisione era stata messa nero su bianco assieme all’azienda di dolciumi e che l’importo, appunto i 50 mila euro, “è stato anche consistente”, soprattutto alla luce dei risultati delle vendite dei pandori griffati. Vendite che “non hanno raggiunto i risultati sperati” e “nel complesso, al termine della commercializzazione, le vendite non hanno riportato un esito soddisfacente”.

Sempre nel ricorso vengono svelati nel dettaglio i numeri dell’operazione “Pink Christmas”. E sono dati assai curiosi in quanto si capisce come tale iniziativa sia stata un flop. “Balocco ha comunicato a Fenice che solo 286.422 prodotti hanno raggiunto il consumatore finale, rispetto a 356.782 prodotti distribuiti ai rivenditori”.

Dunque sono stati donati “50.000 euro a fronte di ricavi che si stimano pari ad euro 234.000, ossia il 25% del ricavato”. Ma attenzione all’altro dato, quello dei pandori non venduti e finiti al macero: “144mila euro di giacenze di magazzino distrutte”. A ciò, a livello di costi per Balocco, c’è anche il maxi cachet destinato all’influencer. Se la matematica non è un’opinione, si capisce in fretta che l’operazione è stata un salasso per l’azienda di dolci.

Nel ricorso si ricorda che “la donazione di Balocco era fissata in “almeno” 50 mila euro”. E “non è stato previsto nessun criterio di correlazione proporzionale alle vendite future), ma non era nemmeno escluso che l’importo finale potesse anche superare tale soglia”.

I legali di Chiara Ferragni e il concetto controverso di “visibilità”

Domanda: perché i 50 mila euro sono stati donati prima ancora della commercializzazione dei pandori? Il team legale dell’imprenditrice ha spiegato che “c’era la volontà di garantire il prima possibile all’Ospedale le risorse per avviare le procedure pubblicistiche di acquisto del macchinario”. Ed ora arriva un passaggio del ricorso che ha del surreale. Gli avvocati della Ferragni spiegano che la loro assistita ha dato al Regina Margherita “una visibilità gratuitamente apportata” e che “la ripetuta menzione dell’ospedale nei post e nelle stories” abbia “procurato all’ospedale” una “indubbia visibilità”. 

Un ospedale ha bisogno di visibilità? Cosa è, un’azienda che deve sponsorizzarsi? Il Regina Margherita dovrebbe quindi dire grazie alla Ferragni, che si ripete non ha dato un euro di tasca sua al nosocomio, perché gli ha dato una presunta visibilità? E non è finita qui. I legali dell’influencer infatti hanno aggiunto che la decisione di acquisto dei pandori “griffati” è stat motivata “principalmente, se non addirittura esclusivamente, in ragione dell’apposizione del
marchio “Ferragni” sul prodotto commercializzato, reso “glamour” ed in “edizione limitata””.

La menziona dell’acqua Evian

Dulcis in fundo, ecco un altro passaggio del ricorso che sembra avere del surreale. Si fa riferimento all’operazione Ferragni-Acqua Evian. “Del resto, la forza del brand Ferragni – riporta il testo del ricorso al Tar del Lazio – è tale che in passato, proprio facendo leva sulla sua attrattività e su mirati accorgimenti di packaging, alcune bottiglie di acqua da 75cl sono state vendute a circa 8 euro quando “normalmente” costavano meno della metà. E si è trattato di un successo commerciale, come testimoniato da rilevanti testate giornalistiche che hanno commentato la notizia“.

Insomma, nel ricorso i legali dicono apertamente che delle bottigliette di acqua normali, solo perché è stato apposto il marchio Ferragni, sono state vendute al doppio. Come se fosse un vanto. Il tutto per sostenere cosa? Che la Ferragni, prestando la sua immagine a Balocco, ha fatto del bene all’ospedale Margherita di Torino, non donando soldi, ma facendogli avere visibilità.

Mirko Vitali

Nato in una città del Nord, un paio di lauree umanistiche e un master in critica dello spettacolo. Si diletta a scrivere di televisione e dell'infernale mondo del gossip del Bel Paese (è convinto che qualcuno dovrà pur farlo questo ingrato mestiere di spifferare i fattacci altrui).

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