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Ambra Angiolini si racconta in modo viscerale e profondo. Intervistata da “Sette” (Corriere della Sera), l’attrice ha srotolato la propria memoria e ha ripercorso le tappe della sua esistenza. Il successo, i problemi da esso derivati, i momenti tragici, quelli della rinascita e il cammino verso il raggiungimento di una maturità che oggi le permette di affrontare la vita con maggiore consapevolezza e forza senza lasciarsi trascinare nelle voragini dell’anima.

Ambra Angiolini: “Quando la tv mi voltò le spalle non mi disperai”

Tutto cominciò con Non è la Rai. In un amen si ritrovò ad essere la ragazza nessuno a essere uno dei volti più noti d’Italia: “Ho iniziato senza capirci niente. Volevo ballare: i miei lavoravano tanto, la danza era un modo per non stare in strada. Quando il successo è esploso mi tormentava il fatto di essere famosa senza sapere perché. Non ero la più brava, né la più bella: non mi sentivo speciale. Desideravo un mestiere, qualcosa che avesse a che fare con una scelta mia. Sembravo inca**ata con tutti, ma lo ero con me stessa. Quando la televisione mi ha voltato le spalle invece che disperarmi mi sono detta: “Ora posso cercarmi un lavoro””.

Dove molte persone vedevano un dramma professionale, lei scorse un opportunità. Ed è probabilmente questo il motivo per cui la Angiolini non è stata una meteora. Negli anni, anzi, ha imparato sempre più cose, divenendo una delle donne più eclettiche del mondo dello spettacolo, lavorando a teatro, al cinema, in tv e nell’ambito musicale (T’appartengo il suo successo più grande).

Ho sempre avuto la sensazione di poter aggiustare le cose – ha confidato a Sette -. Sono rimasta senza lavoro per anni ma non ho mai perso il bisogno di darmi da fare. Anche se ciò che mi aveva resa famosa all’inizio poi si era spento. Ho una famiglia solida alle spalle, che è rimasta sempre lì, col suo lavoro, l’azienda alimentare di papà. Le persone che si fanno il culo mi affascinano. Essere famosi non è un mestiere, dev’essere il risultato del lavoro che fai”.

Ambra Angiolini: “La separazione da Francesco Renga fu un lutto”

L’impatto con il mondo televisivo fu devastante per certi versi. Il successo provoca una forte esposizione mediatica e ogni dettaglio diventa motivo di polemiche e di critiche. Non una situazione semplice da gestire per una ragazza giovanissima: “Della prima (critica, ndr) ricordo anche le virgole: “La ragazzina esce dalla porta tutta palme e piscina e, con mossa navigata, si siede sulla poltrona come la più risolta delle Lolite”. Io Lolita neanche l’avevo letto. Lì per lì piangi, sei inconsolabile: da piccola è normale. Poi ho recuperato il romanzo di Nabokov e ho detto: “Fermi tutti però: qua stanno dicendo un’altra cosa”. E quella cosa non era giusta, non ero io. In quegli attacchi c’era un problema di cultura, ignoranza”.

Ambra ha poi iniziato a comprendere di dover cambiare approccio per non farsi fagocitare dal pensiero altrui. “Col tempo – ha spiegato – ho smesso di pensare solo a me stessa: ho cercato di fare delle scelte che smuovessero qualcosa nelle persone. Solo così ho capito che questo lavoro poteva andare avanti, crescere con me. Prima pensavo a difendere me stessa e facevo casino: replicare a una bugia non fa altro che amplificarla”.

Spazio poi al tema familiare. Con il cantante Francesco Renga si è sposata ed ha avuto due figli, Jolanda e Leonardo. Il sogno d’amore, però, a un certo punto si è spezzato. Altro momento difficile: “Durante la separazione da Francesco, un lutto vero, fu soprattutto Michele Placido a offrirmi la chiave: nel suo film Sette minuti ho potuto far vivere la mia rabbia. Sono fiera di quel personaggio, che ha la faccia disperata che avevo in quel periodo: per il nervoso mi venivano continui sfoghi cutanei”.

Famoso anche il suo ruolo in Saturno contro di Ferzan Ozpetek. Il suo personaggio a un certo punto dice: “Esagero sempre, è il mio unico pregio”. “Con me Ferzan ha girato più un documentario che un film: ha preso da me tutto quello che non avevo mai pensato di poter usare. Mi ha detto: “Ma tu con ‘sta roba devi lavorare, non con tutto il resto”. Ho imparato che potevo essere interessante usando ciò che avevo sempre pensato fosse da nascondere. Una svolta, e non per i premi: oggi so che posso trasformare cose che altrimenti resterebbero lì a mangiarmi viva”.

La Angiolini è da sempre vicina alla comunità LGBT. Non perché abbia il bisogno di porsi in una categoria, ma per il semplice motivo che è una donna che non nutre pregiudizi di alcun tipo. Non una cosa scontata in Italia, Paese zeppo di pensieri retrogradi. “L’omofobia non ha senso – ha sottolineato -: è la cattiveria ad essere contro natura, è l’essere accaniti contro chi è felice che è sbagliato. Trovare il mostro quando il mostro non c’è è una forma di perversione. Detto questo faccio fatica con slogan e polemiche, così come vedo dei rischi in certe strumentalizzazioni della body positivity.

La Angiolini, con saggezza, ragiona sulle storture che si stanno creando a livello di pensiero in determinata situazioni: “Penso sia importante aver denunciato una realtà che proponeva un solo modello. Il pericolo adesso è che la questione diventi un fatto commerciale. Quando entrano gli interessi economici arriva l’obbligo a manifestarla sempre. Come stai in quel corpo? È la domanda che mi faccio e faccio agli altri. Restare incastrati a nostra volta nell’ossessione per l’immagine, anche se in modo rovesciato, non trasforma le cose. Vorrei che l’immagine fosse una parte del racconto, non ciò che ci definisce. Qualcosa che caratterizza ma non categorizza”.

Ambra Angiolini e il demone della bulimia

Nel libro InFame ha raccontato dei problemi di bulimia, un demone contro cui ha dovuto lottare:

“Da piccola vidi un film in cui c’era una ragazza a una festa in cui tutti erano benvestiti e si divertivano. Le veniva una crisi di panico: prendeva a mangiare qualsiasi cosa dal buffet, poi correva in bagno a vomitare tutto. Quella scena mi è entrata in testa e quando ho cominciato a non stare bene l’ho copiata. La bulimia ha reso il mio corpo colpevole di essere diventato diverso rispetto a quello con cui ero diventata famosa. Un giorno in aeroporto vedo una rivista con la mia faccia. Titolo: “Ambra scoppia di successo”, e “scoppia” era tra virgolette. Poi vado in autogrill e la signora delle pulizie mi dice: “Ma va, mica sei grassa”. Ho capito che gli effetti di questa situazione erano sotto gli occhi di tutti”.

“Alla gente – ha proseguito – interessava solo che tornassi magra, mentre io stavo facendo i conti con la voragine che avevo dentro. Allora ho chiuso gli occhi: non potevo farmi distrarre da quella roba, non potevo dare retta a loro prima di aver capito cosa mi stesse capitando“. Oggi da quell’incubo è riemersa ed è impegnata in prima persona nei centri specializzati: “È come avere un tumore all’anima. Non c’è una cura immediata, uguale per tutti: è un processo personale che va attraversato fino in fondo. Se ti anestetizzi la malattia diventa te e non te la levi più di dosso. Alle ragazze dico: “Cominciate a sfilarvela e a tenervela accanto. Farà un pezzo di strada con voi ma a un certo punto le lascerete la mano e se ne andrà””.

Un ruolo decisivo lo ebbe la sua famiglia: “Mia madre mi lasciava bigliettini, Post-it ad altezza vomito. O delle canzoni. Lì per lì mi facevano sentire in colpa, poi è stato importante sentire che non c’era giudizio, che per lei io non ero la mia malattia. Ho cominciato a pensare che la bulimia fosse qualcosa da cui potevo allontanarmi”. Un grosso aiuto lo ebbe anche dalla gravidanza della primogenita: “Jolanda ha riempito un vuoto. Quando me lo sono trovata dentro la pancia ho sentito che quel pezzo d’amore che cercavo ovunque in realtà era dentro di me. Questa però è solo la mia storia: non è che fare figli salvi dai disturbi alimentari“.

Mirko Vitali

Nato in una città del Nord, un paio di lauree umanistiche e un master in critica dello spettacolo. Si diletta a scrivere di televisione e dell'infernale mondo del gossip del Bel Paese (è convinto che qualcuno dovrà pur farlo questo ingrato mestiere di spifferare i fattacci altrui).

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