Nel 1973 usciva il romanzo ‘Un sacchetto di biglie’, firmato dallo scrittore francese Joseph Joffo (nato a Parigi nel 1931 e deceduto nel 2018 all’età dell’87 anni). Un’opera autobiografica, il cui titolo si imbastisce su una metafora, quella del gioco in cui “un fratello è uno a cui si rende l’ultima biglia che gli si è appena vinta”. Il contesto, realmente vissuto dall’autore del romanzo, è quello delle drammaticità della Seconda Guerra Mondiale, con focus sull’operato dei crimini nazisti in Francia.
Dal testo dato alle stampe da Joffo sono scaturiti due adattamenti cinematografici omonimi (quello di Jacques Doillon nel 1975 e quello di Christian Duguay nel 2017. Quest’ultimo film è stato proposto da Rai Uno). Adattamenti che riallacciano i fili della trama testuale e quindi quelli della storia vera vissuta dai fratelli Joseph e Maurice Joffo, tra il 1941 e il 1944. All’epoca i due protagonisti degli eventi narrati sono due ragazzini che vivono a Parigi, figli di una violinista e di un barbiere.
Prima che la guerra e l’occupazione di una parte della Francia da parte dei nazisti investa la loro esistenza, passano le giornate in un clima familiare, tranquillo e spensierato. Essendo ebrei, però, la loro vita subisce un drastico cambiamento con l’arrivo nella capitale francese delle truppe di Hitler. Tutto viene scompaginato: a scuola sono obbligati a indossare i segni distintivi sulla giacca della divisa. Poi vengono esclusi, emarginati, etichettati come diversi.
A questo punto il loro padre, Roman, capisce che l’unica via d’uscita per evitare la prigionia e la morte è quella di far sì che i figli lascino Parigi, la città che li ha visti crescere felicemente. Per convincerli gli narra la sua storia giovanile. Nella fattispecie di quando fu costretto a fuggire dalla Russia zarista prima della Rivoluzione. L’obbiettivo è quello di indirizzarli verso Nizza, in quella parte della Francia non sotto il giogo nazista e dove ad attenderli ci sono alcuni parenti.
Roman non può seguire i suoi ragazzi nella traversata che li aspetta. Prima, però, cerca di istruirli con necessaria durezza per dargli gli strumenti per sopravvivere. “Sei ebreo?”, dice l’uomo schiaffeggiando il piccolo Joseph. “No”, dichiara mentendo e piangendo il bimbo. “Meglio il dolore di uno schiaffo che perdere la vita perché se ne ha paura”, gli risponde il padre che veste inevitabilmente i panni del duro, ma che a il cuore spezzato dal dolore. Alla fine dà a Joseph e Maurice ventimila franchi e due biglie, oggetto che ricorderà sempre ai giovanotti che papà è metaforicamente al loro fianco.
Così Joseph e Maurice abbandonano l’amata Parigi e raggiungono i fratelli maggiori Henri e Albert a Mentone. Dopo una traversata piena di trappole e ostacoli, pullulante di controlli delle SS, riescono finalmente a toccare il suolo libero della Francia del sud. Ma i problemi non sono finiti qui perché mentre sono a Nizza vengono a sapere che la madre e il padre sono stati catturati dai nazisti e si trovano in un campo di smistamento, pronti per essere trasferiti in terra tedesca.
Dopo una lunga serie di peripezie, finalmente la famiglia si riunisce a Nizza. Dovrebbe essere la fine dell’incubo ma non è così perché nel 1943 in Italia Mussolini cede il passo e i soldati del Bel Paese che erano presenti a Nizza lasciano la città, spianando la strada ai nazisti. Joseph e Maurice vengono scoperti: solo la mano tesa di un prete li salva dalla deportazione e da un destino tragico.
Nel frattempo la famiglia Joffo si trasferisce a Aix-les-Bains (Savoia). Qui sosta finché Parigi non viene proclamata “libera”. Nel 1944 fa rientro nella capitale, che finalmente si è lasciata alle spalle lo spettro di Hitler. Nella ville lumière però c’è una drammatica notizia ad attendere gli Joffo: non c’è il padre Roman, morto nel campo di concentramento di Auschwitz.
Un sacchetto di biglie, le parole dell’autore Joseph Joffo
“In questo momento, la storia che ho vissuto risuona in modo particolarmente forte”, ha dichiarato Joseph, autore del libro autobiografico dopo aver visto il film di Duguay del 2017. “A causa del terrorismo, anche i bambini di oggi sono costretti a fuggire. Come noi 50 anni fa, si ritrovano per strada, completamente isolati e lasciati a se stessi. Spero che il film ci sproni a interrogarci sul destino dei bambini e di queste famiglie distrutte”, ha concluso.
Joseph Joffo: la vita dopo la guerra
Terminato il conflitto Joseph ha continuato l’attività del padre, facendo il parrucchiere e avendo parecchio successo. Insieme ai suoi fratelli, ha infatti fondato oltre 10 negozi simili a Parigi. Un giorno è incappato in un brutto infortunio mentre praticava attività sportiva. Rimase immobilizzato per mesi. Fu allora che si dedicò a ‘Un sacchetto di biglie’. Joseph ha avuto tre figli e si è spento il 6 dicembre 2018.