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Gianluca Grignani è stato ospite de Le Iene, nella puntata in onda su Italia Uno mercoledì 27 aprile. Un ritorno in tv per il cantante dopo l’esperienza al Festival di Sanremo 2022, dove ha affiancato per una sera il giovane collega Irama. Nella trasmissione condotta da Belen Rodriguez e Teo Mammucari il Joker si è messo a nudo, raccontando un episodio doloroso del suo passato che l’ha aiutato a crescere e maturare.

Un lungo discorso che Grignani ha però pronunciato in maniera un po’ troppo veloce, tanto che alcune frasi sono apparse incomprensibili alla maggior parte dei telespettatori. Forse preso dall’emozione Gianluca è sembrato piuttosto teso e agitato. “Non pensavo che Grignani parlasse così velocemente”, ha ironizzato qualcuno su Twitter. “Non si capisce una parola”, hanno scritto molti,.

C’è chi ha provato a difendere il cantautore milanese: “Anche basta con queste battute su Grignani. Sono tristi e superate. Cercate di andare oltre e rispettare un passato doloroso”. Seppur emozionato, infatti, l’artista ha condiviso un messaggio importante: la voglia di rinascere, di superare certi ostacoli e limiti, per diventare la versione migliore di se stessi.

Nel suo monologo a Le Iene Gianluca Grignani ha parlato di due dipendenze, quella dall’alcol e dalla droga, che hanno indubbiamente condizionato la sua vita, che lo hanno spinto a toccare il fondo fino ad arrivare ad una rinascita, ad una nuova consapevolezza.

Il monologo di Grignani: cosa ha detto

La bottiglia di vodka volteggia nella mia mano lungo il soppalco della villa che si affaccia sulla collina di vigneti. Indosso una vestaglia blu. La sostanza è nascosta sapientemente in bagno: ogni tanto la vado a trovare, per non cedere a qualcosa che neanche io so cosa è. L’alcol non fa effetto, non mi calma. Sono solo. Lo spazio che separa il soppalco dal pavimento è come la caduta dalla cima dell’Everest al fondo della Fossa delle Marianne.

Il mio cervello srotola immagini e pensieri in quest’ordine: padre, madre, figli, lavoro, amici. Mi sento cadere, ma il mio corpo è ancora lì. Fermo. Immobile. Grido: “La mia vita per un motivo…aiuto!”. Questo è un episodio della mia vita, mi sono messo a nudo, vi ho raccontato quello che ho lasciato alle spalle. Spero così di aver guadagnato la vostra fiducia in quanto a sincerità.

Permettetemi quindi, ora, di dirvi quello che penso del futuro, partendo da una massima che è da un po’ che tenevo nel fondo di un cassetto: “Non date mai ad un poeta in mano una chitarra, vi racconterebbe quello che i poeti nascondono in fondo al fiume della tristezza e il resto del mondo potrebbe scambiarlo per un grido di guerra”.

Ecco questi siamo noi: il resto del mondo, confusi, influenzabili, incapaci di distinguere il bene dal male, passati anche attraverso una pandemia: alieni che non si riconoscono gli uni dagli altri. Poi c’è la  generazione Z, che io ho ribattezzato V, come vittoria. Quella che io identifico come la mano tesa al mio grido: “La mia vita per un motivo”.

Quelli che non hanno mai avuto bisogno dei libri perché hanno sempre avuto un computer, quelli che per loro è normale che il telefono faccia tutto tranne il caffè. Loro, che vengono indicati come la generazione dispersa, che non ha radici, invece è la prima che non è stata educata al motto “mors tua vita mea”, che non crede che tutto sia lecito se la vittoria è di uno solo, se vince il più forte.

È la generazione dell’inclusività, capace di rendere tutti uguali nelle differenze, la generazione del cambiamento, la mano del futuro. E da musicista voglio immaginare per loro e per tutti noi un finale diverso di una canzone famosissima Hotel California degli Eagles.

In questo finale, anziché rimanere incastrati in un futuro senza immaginazione come nella versione originale, ci troveremo tutti, nessuno escluso, di nuovo nel deserto, liberi, ma con l’orizzonte davanti e con un inferno di fuoco ormai alle spalle. Ecco il mio augurio: un finale diverso e non un miraggio, una nuova Hotel California.

Antonella Latilla

Per info email: [email protected] instagram: cheloidea21

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