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EURO 2012 SCOPRI LO SPECIALE DI GOSSIPETV – Questi giorni in Polonia, non sono sono affatto banali per la Nazionale Italiana, che dopo il bagno di folla e di entusiasmo all’arrivo a Cracovia, ieri è stato il giorno della memoria. Seduti sul binario della morte davanti a un vagone, gli azzurri con le lacrime agli occhi hanno ascoltato la testimonianza di tre superstiti dello sterminio. È la forza delle parole di Piero Terracina, Anna Weiss e Samuel Sami Modiano che arriva in mezzo al petto. Nocerino e Montolivo, loro in piedi, piangono e si commuovono. Come Barzagli, in prima fila, e Prandelli, un po’ defilato. In fondo c’è Buffon. Anche lui è in piedi, attento e colpito. Cassano e Balotelli, sempre vicini, hanno lo sguardo rivolto a chi sta spiegando loro l’Inferno come definiscono le camere a gas i tre superstiti. «Io vi capisco: i miei genitori adottivi sono di origine ebraica». Balotelli non nasconde la storia della sua famiglia bresciana.

CHIELLINI NON SI DA’ PACE – I numeri, marchiati a fuoco sul braccio, sconvolgono gli animi della comitiva azzurra. Weiss li mostra per prima. «Ero una bambina, mi sentii subito una bestia. Perché così ci consideravano». Il discorso di Modiano, italiano di Rodi e ultimo dei tre superstiti a parlare, diventa il più toccante. Non perché quello finale, ma perché Sami rivive, con molti giovani padri tra i giocatori, la sua storia di bambino, rimasto solo a 14 anni. «Mio papà Giacobbe teneva per mano me e mia sorella Lucia. Quando i nazisti lo separarono da lei, per non lasciarla andare, prese tante bastonate. Non posso scordare quel momento. Ogni volta che torno qui vado davanti alla baracca dove vidi per l’ultima volta Lucia». Il calvario dei bambini è negli occhi di Montolivo quando si ferma, nel museo di Auschwitz, davanti alla teca con piccole scarpe e vestitini da neonati. Prandelli è dietro di lui. Guarda e va subito via. La mattinata finisce, prima di mezzogiorno, con abbracci e carezze di tutti gli azzurri a Weiss, Terracina e Modiano. Un inviato tedesco commenta: «Molto più profondo di quello della nostra nazionale della settimana scorsa, anche se i discorsi dei polacchi Klose e Podolski erano stati belli. Ma i tre superstiti e gli azzurri hanno reso l’incontro molto intenso».

Guardando la scritta Abeit macht frei, il lavoro rende liberi, all’ingresso del campo. Marchiso scatta le foto ed è curioso. Occhiali, scarpe, pennelli da barba e capelli dei deportati provocano dolore e rabbia. Una corona tricolore appoggiata al muro della fucilazione tra i blocchi 11 e 12, con i lumini accesi portati da Buffon e dagli altri. Balotelli e Cassano si fermano lì davanti. Più avanti l’ingresso nelle camere a gas. Montolivo chiede. E ammette: «Sento solo un grande vuoto dentro». «Cose da ragazzi». C’è pure la nazionale olandese. Si salutano Abate con van Bommel e Huntelaar, Balotelli con Sneijder e De Rossi con Stekelenburg. Poi quel binario lunghissimo, prima del messaggio di Abete e Buffon sul libro della memoria: «Mai più questo orrore. Quello che è accaduto qui non riguarda solo un popolo ma l’intera umanità. Il vostro dolore è il nostro dolore».

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